COME LE TRE STELLE DI ORIONE Che la posizione planimetrica delle tre chiese sacramentali del centro storico di Misterbianco sembra coincidere con quella delle tre grandi piramidi della piana di Giza, in Egitto, è un’idea che ho già condiviso in un articolo precedente.
Nello stesso pezzo, ho poi anticipato come il complesso piramidale A2, B2 e C2, a sua volta, mostrerà di avere delle correlazioni con la configurazione astronomica delle tre stelle che formano la cosiddetta “Cintura di Orione”. Ma sono le tre chiese A1, B1 e C1 che ci rivelano una più precisa e strabiliante corrispondenza con il famoso trio stellare Alnitak, Alnilam e Mintaka.
Il “mistero” più oscuro spesso si “nasconde” in piena vista, protetto solamente dalla nostra incapacità di guardare nei posti e nei modi “giusti”. Nell’architettura, negli oggetti, nelle scritture e nei rituali in ambito mitico e religioso giacciono storie sconosciute e in attesa di prendere voce.
L’immagine che apre questa Landing page è una rappresentazione artistica di come, un tempo, poteva apparire Monasterium Album, un piccolo centro etneo, poco distante da Catania, sommerso interamente dalla colata lavica avvenuta nel 1669.
Quando nel 2019 visitai i resti dell’antico paese, rappresentati unicamente dal tempio mariano, liberato ormai dalla pietra lavica, notai negli elementi architettonici della struttura e degli arredi in muratura tutto un insieme di “tracce”, grazie alle quali iniziai a farmi delle idee sulla possibile storia del sito. Tanto ne restai affascinato che, in un video pubblicato su Youtube, iniziai ad accennare una teoria, senza però entrare nello specifico: I Misteri dell’antica Misterbianco
Perché?
Prima di pronunciarmi sulla possibilità e sull’essenza di una qualsiasi ipotesi, ho bisogno di prove che abbiano un apprezzabile livello di concretezza. Una di queste prove mi è stato possibile trovarla in una foto d’epoca pubblicata su Misterbianco ieri, un libro firmato da Mimmo Santonocito, autorevole storico locale, scomparso nel 2020. L’immagine fotografica, qui riprodotta a sinistra, rappresenta la chiesa dedicata a Santa Maria delle Grazie, ricostruita nel nuovo centro urbano a partire dal XVII secolo, come appariva nel 1908, e quella che svetta sulla cima della sua facciata (ultimata nel 1905) è una massiccia e imponente croce in pietra bianca.
Con tutto il rispetto per il simbolo in sé, quella croce era considerata un po’ da tutti, maestranze e paesani, “rozza e pesante” e, per di più, montata su un basamento piuttosto debole, tanto da far presagirne la caduta, così, da un giorno all’altro, come effettivamente avvenne, a causa del terremoto che aveva appena distrutto la città di Messina.
Perché allora non montarne, fin dall’inizio, una in ferro, più snella e leggera? Evidentemente, perché il progetto dell’intera facciata la prevedeva in quel modo. Appunto, perché proprio in quella forma?
A mio modesto parere, si tratta, senza ombra di dubbio, di una “croce patente”, un simbolo che ci riporta prepotentemente ancora più indietro nel tempo, quando gli ordini cavallereschi dei Templari e dei Teutonici la portavano impressa sulle loro tuniche.
Ma a quale delle due compagnie si riferiva?
Incredibilmente, la risposta la possiamo trovare proprio all’interno della stessa chiesa. In ogn’uno dei dodici pilastri, sul lato che affaccia la navata centrale, sta in bella mostra una piastrella sulla quale è pitturata un’inequivocabile croce patente di color rosso: il simbolo distintivo dei cavalieri che furono i custodi del Tempio di Salomone, a Gerusalemme.
Quale significato possono avere una croce Templare posta in cima alla facciata e un’altra all’interno di una chiesa del ‘700?
Oltre alla croce patente in cima e ai due rosoni che sembrano riprodurla, sono degne di attenzione anche le sette logge sotto la croce di cui il numero corrisponde a quello della lampada Menorah ebraica in uso nel Tempio di Gerusalemme. Faccio notare, inoltre, come la loggia centrale è posta rialzata, esattamente come la candela centrale della Menorah.
A fronte di queste curiose “coincidenze”, vado alla scoperta del significato simbolico di queste inserzioni architettoniche e della loro reciproca correlazione con la storia dell’antico Monasterium Album (mi viene difficile pensare che siano state messe li al solo scopo decorativo) e capire se fu una preferenza del maestro architetto oppure una precisa disposizione della committenza.
Una prima idea che sta venendo fuori dalle mie ricerche inquadra una decina di Templari sfuggiti alla persecuzione, avvenuta nei primi anni del 1300, e rifugiatisi proprio dove, in seguito, sarebbe sorta l’antica Misterbianco. I fuggitivi portarono con loro il bagaglio di un’antichissima conoscenza, scritta con simboli e metafore, di cui ne conoscevano la grande importanza e (forse) anche la “mistica” sostanza.
Quando scrutiamo il mondo dall’alto possiamo coglierne informazioni altrimenti “invisibili” se lo si osserva da una posizione posta a livello del terreno, acquisiamo una visione ampia delle cose, così come appaiono nel loro insieme. Ottenuta grazie all’applicativo Google Earth, la figura che qui stiamo esaminando è una visuale del centro cittadino dell’odierna Misterbianco, a una manciata di chilometri da Catania, così come si mostra a tremila metri di altezza: un agglomerato urbano, più o meno distinguibile, di strade e fabbricati.
Ma, se scendiamo a quota 1000 metri, ecco che gli edifici cominciano a mostrarsi diversificati: case, palazzi e chiese.
Nel frame qui selezionato, evidenziamo, con rettangoli gialli, quattro specifici edifici di culto del centro storico. Muovendoci da Nord-Est a Sud-Ovest, ecco le tre chiese sacramentali: quella di San Nicolò (A), poi al centro Santa Maria delle Grazie (B); più a Sud, la chiesetta di Sant’Orsola (C). A Est della chiesa di Santa Maria delle Grazie, notiamo un altro fabbricato: la chiesetta di San Giuseppe (D).
Stiamo semplicemente osservando i tetti di quattro chiese incastonate nel tessuto urbano di una città fra le tante sparse in tutto il mondo? Certamente sì. Tuttavia, questa “casuale” disposizione, personalmente, mi rievoca qualcosa. Qualcosa che ho già visto da un’altra parte: a 1700 chilometri in direzione Sud-Est, nella piana di Giza, in Egitto.
È il caso di liquidare questo libero quanto audace accostamento come frutto di una pura e casuale coincidenza?
Chiariamo innanzitutto che la lettura dei dati sul posizionamento delle tre chiese sacramentali del centro storico di Misterbianco e il loro riferimento alle tre piramidi sulla piana di Giza vanno considerati nelle loro reciproche proporzioni planimetriche.
Per le tre chiese, le fonti storiche locali ci informano che la prima ad essere stata ricostruita, appena otto mesi dopo l’eruzione etnea del 1669, fu l’attuale chiesa di San Nicolò (A1), che già dal 21 novembre dello stesso anno assunse la funzione temporanea di “nuova matrice”, in attesa della riedificazione della chiesa principale di Santa Maria delle Grazie (B1), i cui lavori iniziarono intorno al 1680. Finiti parzialmente nel 1778, questi furono sviluppati, in più riprese, fino al 1905 con il completamento della facciata. I lavori della terza chiesa, quella di Sant’ Orsola (C1), iniziarono nel 1693 per finire nel 1809. Per quanto riguarda le tre piramidi della piana di Giza, dalle date che l’egittologia ci mette a disposizione, apprendiamo che la prima (A2) fu edificata nel 2560 a.C.; la seconda (B2) nel 2540; la terza (C2) nel 2510 a.C. Come possiamo constatare, entrambi i terzetti monumentali seguono lo stesso ordine cronologico di inizio edificazione!
Un’altra “coincidenza”?
Già da un primo confronto planimetrico, le due configurazioni appaiano giacere sull’asse che corre da Nord-Est a Sud-Ovest. Ma qui notiamo un “divario”: la chiesa di Sant’Orsola (C1), allo stesso modo della piramide di Micerino (C2), risulta fuori asse rispetto alle altre due costruzioni.
Ancora coincidenza o siamo forse davanti a una incredibile riproduzione di uno stesso schema planimetrico di strutture architettoniche di culto, disposte volontariamente in quel modo, cioè, seguendo un progetto ben preciso?
Anche la chiesa di San Giuseppe (D1), rispetto a quella di Santa Maria delle Grazie (C1), sembra concettualmente occupare la stessa posizione della Sfinge (D2), rispetto alla piramide centrale di Chefren (C2). E, fatto ancora più incredibile, persino Piazza della Repubblica (E1) risulta essere in linea con lo spiazzale di Giza (E2), che accoglie i turisti appena scesi dai pullman, posteggiati dentro la rotonda, appena lì vicino. Un altro dato interessante sta nella diagonale che attraversa la chiesa di San Nicolò (A1) e quella di Santa Maria delle Grazie (B1): nella prima “tocca” l’altare e nella seconda “segna” la croce che, ricordiamo, oggi è “latina”, ma, prima del terremoto del 1908, sulla facciata della chiesa (B1) svettava una croce “patente” in pietra bianca, simbolo riconosciuto e associato ai cavalieri templari.
Se davvero gli esuli del paese distrutto dalla colata lavica del 1669 hanno voluto ricostruire, nel nuovo centro urbano, lo stesso schema architettonico e monumentale della piana di Giza, perché l’hanno fatto? Cosa poteva significare, per loro, tutto questo? Esiste veramente una “correlazione” Misterbianco-Giza?
Una “conferma” visibile di questo concettuale rapporto con l’antico Egitto, la possiamo trovare proprio all’interno della chiesa matrice di Santa Maria delle Grazie. Sulla parete della navata sinistra del tempio vi è collocato l’altare dedicato a Sant’Antonio Abate, Patrono della città, nato e vissuto in Egitto tra il III e il IV secolo d.C. L’ara è sovrastata da un bel dipinto del 1883 che raffigura il Santo (a destra) e altri personaggi. Al centro della rappresentazione, che qui evidenziamo con un cerchio, si scorgono, in lontananza, proprio le tre grandi piramidi di Giza.
Un’altra bizzarra coincidenza?
Non da ultimo, il complesso piramidale A2,B2 e C2, di Giza, a sua volta, mostra di avere delle corrispondenze con una precisa configurazione astronomica: le tre stelle che formano la “Cintura di Orione”. Ma, dato ancor più strabiliante , saranno proprio le tre chiese A1,B1 e C1 di Misterbianco a mostrare una più precisa corrispondenza con il famoso trio stellare!
Si tratterà dell’ennesima “coincidenza” oppure siamo di fronte a significative informazioni, ormai impossibile da ignorare? Quale potrebbe essere allora la ragione di tutto ciò? Quali le misteriose connessioni?
Per farcene un’idea, dobbiamo affrontare un percorso “stratigrafico” che scava nella storia, nell’archeologia, nell’architettura sacra e nelle tradizioni cultuali di entrambi i siti architettonici. Una strada ricca di enigmi che dalla moderna città di Misterbianco ci conduce all’antica piana di Giza, in Egitto, e poi ancora a Monasterium album, nei primi anni del 1300, e alle connessioni con gli antichi “segreti” dei monaci templari.
Nota dell’autore: Ogni singola “corrispondenza” qui mostrata, potrebbe essere frutto di pura e semplice casualità. Ma, considerandole nel loro insieme, potrebbero anche non esserlo!
A spingermi nella ricerca “indipendente”, iniziata trent’anni fa, è stata la percezione di un misterioso e lontano Messaggio. Un’antica missiva che da secoli sta cercando di dirci qualcosa, ma che la “cultura” ufficiale, con le sue continue sovrapposizioni, concepite nel lungo corso della storia, sembra ne abbia occultato il vitale contenuto, facendogli assumere la forma simbolica e ritualistica che noi oggi conosciamo.
Ecco che lo studioso “accademico” vede, ancora oggi, anche in “tipici” reperti archeologi e strutture architettoniche, esclusivamente oggetti e edifici di culto, e considera certi miti e leggende come opere di pura fantasia. Ma, attraverso una lettura più aperta e consapevole, diventa ragionevole supporre che, invece, potrebbe trattarsi di un intricato sistema comunicativo che conserva in sé una conoscenza di portata cosmica e sacrale, di cui oggi potremmo iniziare a intuirne il profondo significato.
Ho già pubblicato il libro Gilgameš Nel Giardino Degli Dèi, il cui sottotitolo non vuole lasciare spazio ad equivoci: ANTICHI ASTRONAUTI ALLA CONQUISTA DELL’ETERNITÀ.
Il discorso parte da uno dei più straordinari capitoli del ricco patrimonio culturale che affonda le sue radici nelle remote memorie dei Sumeri; il lettore incontrerà contestualmente anche alcuni passi della Bibbia; visiterà i resti di una cittadella libanese che fu espressione religiosa prima dei Fenici poi dei Greci e dei Romani; farà, in fine, un salto nella cultura iconografica Maya del Messico precolombiano, per un incredibile confronto con l’arte sacra del medioevo europeo.
Saranno molteplici e probabilmente deliranti gli indizi inediti e le coincidenze che, passo dopo passo, potrà intravedere nella lettura; ma che tracceranno nella sua mente un’ipotesi assai suggestiva, divenuta ormai generale fra gli autori di questo genere: l’esistenza nel lontano passato di una civiltà tanto progredita nelle scienze e nelle tecnologie da possedere persino la capacità di spostarsi attraverso le distanze siderali del sistema solare e, forse, anche oltre.
“Gilgameš Nel Giardino Degli Dèi” è l’inizio di un viaggio, e il progetto in essere “Monasterium” rappresenta un ulteriore conferma di quella evoluta e “perduta” Conoscenza.